07 giugno 2015

Canicola

Il caldo respira lento tra gli ulivi, nel frinire sfinito delle cicale. Lei è stesa tra le radici accoglienti di uno degli alberi più anziani, le fronde creano un'ombra che dà l'illusione di affievolire l'afa tutto intorno. Lui è seduto al suo fianco, la schiena appoggiata al tronco caldo e rugoso; vorrebbe dire qualcosa, anche di stupido, per rompere il silenzio ma tace e la guarda. Lei ricambia lo sguardo, ha un vestito leggero, bianco, da cui risaltano le lunghe gambe abbronzate; è scalza, i piedi sulla coperta che li protegge dalla terra rossa. Lui è più rigido di quello che dovrebbe, come davanti ad un esame per cui non ci si sente mai preparati, si muove il meno possibile per non farle vedere la sua emozione, come fosse un peccato originale. Lei lo guarda e sorride, lo vede che ha i muscoli tesi, anche lei ma, distesa, si nota meno. Ha i capelli lunghi, sciolti, che le fanno da cuscino e cornice alla testa; lui alza lo sguardo tra i rami a guardare la luce accecante passare tra le foglie. Il tempo è come sospeso in una bolla, forse è l'afa, forse sono loro, ma entrambi pensano che quel silenzio sta pesando troppo e quasi d'accordo esordiscono insieme con un “senti...” sospeso; si fermano e ridono, ognuno adesso vuole che l'altro parli per primo e, di nuovo, sono ad un empasse; lei si morde un labbro, lui respira profondo e come quando ci si tuffa da una scogliera altissima le dice “vorrei il coraggio di raccontarti tutti i brividi che mi dai”. Lei è sorpresa, quasi spiazzata, e non sa che dire; ora nemmeno lui sa bene quello che ha fatto ma, come quando ti tuffi, a metà non puoi mica tornare indietro e come se il suo corpo sapesse meglio di lui quello che è giusto, si piega su di lei e la bacia. Lei quasi non ci crede ma sente se stessa abbandonarsi partecipe. Non esistono più il caldo, la terra rossa, gli ulivi; esiste solo quel bacio e le loro mani che, come una carovana giunta all'oasi, non fanno che dissetarsi l'uno nell'altra. Non si può fermare l'acqua di un fiume in piena, rompe gli argini e le dighe improvvisate e loro, nel frinire sfinito delle cicale, si mischiamo le anime quasi fosse l'ultimo giorno del mondo.

04 giugno 2015

Milonga improvvisata

Dalla finestra aperta mi arriva un po’ della brezza di mare, me ne faccio poco, con questo caldo, ma è meglio di niente; meglio di sudare anche soltanto respirando. Mi sposto sul balcone di questo albergo con poche pretese, affacciato sulla sabbia; vedo la costa puntellata di luci, l’afa rende opaca anche la notte e la luna, enorme, è velata ai bordi. Un refolo un po’ più forte mi porta sollievo e una sensazione di musica; decido di scendere a passeggiare sulla riva, con la scusa di stancarmi e rinfrescarmi con in piedi in acqua ma, in realtà, mi spingo ad inseguire quell’ipotesi di melodia che m’ha rapito. La sabbia mi concede passi incerti, le impronte dietro di me spariscono nella risacca; la musica è un po’ più forte, riesco a stabilire da dove arriva e la scelgo come meta, in fondo una strada vale l’altra se vuoi solo camminare. Supero uno stabilimento balneare con il suo plotone di ombrelloni chiusi e lettini ripiegati; ora percepisco perfettamente tutte le note, la melodia è una schermaglia di scale, come la danza di accoppiamento degli scorpioni: un tango suonato dal vivo. La musica proviene da una milonga improvvisata su assi di legno sporche di sabbia; tangueri vestiti di tutto punto ballano concentrati e mi perdo nel loro intreccio di gambe, nei loro sguardi profondi, nel loro muoversi portandosi l’un l’altro. Alla fine di una lunga tanda le coppie si sciolgono dall’abbraccio e sciolgono le loro maschere in sorrisi pieni di vita, ringraziano con un applauso i musicisti ed il loro compagno o compagna. Ritorno sui miei passi ancora inebriato, con dentro la stanchezza serena del loro ballare.

Questo frammento lo scrissi quasi un anno fa per un altro blog che, tristemente, ha fatto una bruta fine, lo ripropongo qui perché m'è capitato di parlare di tango...